I Vivallevi ei Mortallevi

Una domanda mi sono posto molto tempo fa e ancora non ha trovato risposta: chi sono, nella nostra società, il corrispettivo dei maestri della musica colta del Rinascimento e del Barocco?

Forse è un questionare assurdo, forse no, sarebbe bello se qualcuno mi inviasse la sua opinione; per ora mi limito a qualche pensiero (mio) e a qualche spunto pescato qua e là.

  1. Non credo che possano esserlo i musicisti accademici e paludati della musica colta né gli audaci sperimentatori, per un semplice motivo: che i maestri di allora avevano un pubblico, i nostri contemporanei no, si ascoltano tra loro o arrivano al massimo a un numero ridotto di ascoltatori in una società dove tutto tocca numeri impressionanti. E non credo neppure che si possa stabilire una correlazione con quelli tra loro che, attraverso la musica da film, riescono a raggiungere un pubblico più vasto, cosicché le altre loro composizioni più impegnative e “sentite” corrisponderebbero alle opere di sperimentazione musicale, che anche nei secoli passati sono state scritte e (magari) mai eseguite e forse non ci sono neppure pervenute. Quasi 30 anni fa, con una sicumera che ancora vorrei possedere, avevo buttato lì ad una cena con amici che gli attuali maestri della musica colta erano gente come Brian Eno … oggi ancora mi interrogo, seppur sempre più raramente.
  2. Lo spunto per ripropormi questa domanda me l’ha dato una mail pubblicata sull’ultimo numero di “Amadeus” (febbraio 2009, pagg. 6-7) del critico musicale Giordano Montecchi e dedicata al fenomeno Giovanni Allevi, anzi alla autentica guerra civile che si è scatenata intorno a questo musicista. Montecchi (che è chiaramente un Vivallevi) ritiene che si sia polemizzato troppo su Giovanni Allevi senza cercare di capire questo fenomeno mediatico, anche perché ne uscirebbe “… qualche realtà dura da accettare … tanto che l’interrogativo cruciale non riguarda più tanto il valore di Allevi musicista, bensì le cause di un così spropositato fuoco di artiglieria da parte degli ambienti accademici, dagli studenti di Conservatorio, ai luminari del concertismo …” Per arrivare a quel che più ha solleticato il mio interesse, Montecchi dice che “… la carta più audace di Allevi è stata [questa:] anziché accettare la naturale collocazione della propria musica nell’ambito dell’easy listening, Allevi ne ha rivendicato il carattere di nuova musica classica contemporanea, ripudiando il paradigma di una contemporaneità divenuta sinonimo di intellettualismo …” per concludere che “… quel nervo scoperto che Allevi ha toccato … svela il dramma profondo di un paese la cui in cultura musicale è anche e forse soprattutto frutto di un’arroganza accademica boriosa e autoreferenziale, incapace di interagire costruttivamente con la società civile …” il resto magari andate a leggerlo, Amadeus costa poco e a questo numero c’è allegato un bel CD.
  3. Tra le letture che mi hanno fornito elementi per le mie riflessioni sulla questione, una mi è rimasta particolarmente impressa, quella di “Piero Buscaroli svela l’imbroglio del Requiem” (ovviamente si parla del Requiem di Mozart) edito da Zecchini di Varese, laddove sottolinea la falsa immagine che noi ci siamo fabbricati dei grandi compositori del passato, che malgrado l’apprezzamento della loro musica restavano sempre alla stregua di servitori, con i servitori mangiavano, anzi non sempre il loro salario era superiore.
  4. Avviandomi alla conclusione, visto che la guerra civile intorno alla figura di Allevi infuria, voglio ricordare per par condicio la lettera apparsa su “Musica” – sempre il numero di febbraio 2009 – in cui il musicista Ciro Longobardi – feroce Mortallevi – a “… smentire chi crede che l’Allevi rappresenti il nuovo in musica …” segnala puntigliosamente un nutrito numero di ascolti da Youtube che dimostrerebbero che “… se l’originalità e il nuovo stanno da una parte l’Allevi sta agli antipodi …”. Anche Musica non costa caro, se siete interessati non perdete questo numero.
  5. Per finire, forse i miei ipotetici lettori si saranno chiesti da quale parte della barricata io stia: beh, sinceramente, sono più neutrale della Svizzera. Ho già il mio bel daffare con la “musica antica” in cui profondo tutto il mio fanatismo settario, e sono ben lieto di chiamarmi fuori, anche perché ho ancora vivo il ricordo di una guerra civile musicale in cui fui coinvolto ormai sono 40 anni fa: allora ero appassionato di jazz e il mio breviario era la rivista “Musica Jazz” diretta da Arrigo Polillo. Anche a causa delle incursioni rock di Miles Davis, ecco scoppiare tra i giovani lettori (e non, già ribelli di suo e feroci propugnatori del “La musica non si paga”, ricordo) e Arrigo Polillo la polemica pro e contro le contaminazioni rock della musica jazz. In qualche occasione ci furono anche contestazioni vivaci, con fischi e lancio di nonsocché, ed io che col cuore stavo con loro ma con le orecchie con i puristi … .

Tutto il mondo è paese – Svezia

(da “Uomini che odiano le donne” di Stieg Larsson, ed. Marsilio)

… “Un giornale di sinistra” “Dipende da cosa si intende per sinistra. (…) A quanto sembra di capire, l’etichetta di sinistrorso deriva soprattutto dal fatto che come giornalista economico si è specializzato in reportage di denuncia sulla corruzione e gli affari loschi del mondo imprenditoriale. E’ autore di ritratti devastanti di direttori e politici – che di sicuro se lo meritavano – (…) Attirare l’attenzione sui reati però non mi sembra si possa considerare un’espressione di appartenenza alla sinistra”.

Meglio Rosso che Tecnico

In una intervista alla – ahimè – defunta rivista di informazione discografica “CD Classica” (aprile 1993) il valente violinista barocco Enrico Gatti dice: ” … Ci sono tantissimi gruppi che fingono di utilizzare strumenti con montatura antica, mentre ciò che fanno è in pratica un riciclaggio della loro tecnica moderna: se Lubrano [il primo conduttore di Mi manda RaiTre] si interessasse a questo tipo di truffe avrebbe sicuramente materiale per molte trasmissioni, tante sono le incisioni discografiche in circolazione! Tutto ciò accade perché negli ultimi anni si è creato un certo mercato per le cosiddette esecuzioni filologiche, e c’è tanto lavoro per i violinisti; buona parte di costoro ritengono più pratico ed economico ascoltare qualche disco, montare due corde di budello e magari acquistare un arco leggero piuttosto che intraprendere un iter di studi magari serio ma lungo: il lavoro non può aspettare. Peccato che quel lavoro dovrebbe essere arte, e non musica da consumare …”.

In un’altra occasione (non ho trovato l’articolo e, quindi, vado a memoria (e magari ci metto del mio) sempre Gatti aveva lamentato “l’abitudine” dei direttori di utilizzare, per le esecuzioni filologiche, strumentisti con una solida preparazione accademica, ma più o meno indifferenti alle problematiche che tali esecuzioni pongono; anche in questo caso, la fretta di raggiungere un qualsiasi risultato prevale sul duro lavoro di far crescere musicisti quasi sempre semiprofessionisti, se non dilettanti, con i connessi difetti tecnici, per raggiungere risultati più “autentici” anche se inferiori agli standard del mercato.

A latere, un discorso simile si può fare per la critica musicale italiana: prima non ha accettato la “musica antica”, con atteggiamenti di rifiuto astioso e fobico, poi, quando finalmente e almeno in parte i critici si sono resi conto che non era possibile non prenderne atto, salvo vedersi relegati in un provincialismo e conservatorismo paradossali, si sono dati una “riverniciata” e hanno cominciato a parlarne, ma non essendosi messi veramente in discussione né avendo rivisto i propri “strumenti” critici, hanno sempre privilegiato, fino all’osanna, quei gruppi che affrontano le esecuzioni storiche nel modo descritto da Gatti; un passo avanti e due indietro, per dirla col vecchio Lenin.

Per concludere: non sarebbe meglio dire le cose come stanno, e poi che l’utente faccia le sue scelte liberamente ma con un pò di consapevolezza? Ma soprattutto, non avvallare le operazioni di chi ha deciso – ho cominciato con uno slogan della Rivoluzione Culturale cinese, termino con quello di chi la ha affossata, oltretutto buttando via il bambino con l’acqua sporca – che non importa di che colore è il gatto, se è rosso o nero, l’importante è che acchiappi i topi. Anche perché, nel nostro campo, non dovrebbe trattarsi di acchiappare i topi … .

Racconti dublinesi 2

Il mistero del panino scomparso

Ci trovavamo, io e Enrico, da O’Sullivan, un grazioso pub in Westmoreland Street, vicino a O’Connel Bridge e quindi a metà strada tra le 2 zone di shopping più importanti di Dublino, Garfton Street e O’Connel Street. Domenica avevamo ascoltato musica dal vivo (non musica celtica, come speravo, ma musica rock anni 60-80) e, secondo la lavagna esposta all’esterno del locale, anche quel giorno ci sarebbe stata musica dal vivo. Io non avevo molto piacere di tornarci, perchè il cameriere, un giovanotto molto poco irlandese, direi tra l’italiano e il turco, quando si era accorto che bevevo poco e spesso fingevo di aver consumato mettendomi davanti il bicchiere vuoto di Enrico, mi aveva sollecitato a lasciare libero il posto a sedere per più produttivi clienti – e come dargli torto, visto che ci stavano 40 persone in tutto, da cui dovevano pervenire anche i soldi per pagare i musicisti?

Arriviamo verso le 18, e il locale è quasi vuoto – strano! alle 19 nessuno suona, ne deduciamo che o la musica non c’era oppure cominciava troppo tardi per ME (Enrico se ne fregava e anche se perdevamo la DART (metro) era disposto a tornare in taxi – così mi vendevo la casa per pagare la mia parte). Stiamo per andarcene (io vedo che il cameriere mi ha riconosciuto, guarda con disprezzo la mia mezza pinta – Enrico dice che in Irlanda nessun uomo prende meno di 1 pinta per volta, così come nessuna donna prende più di mezza pinta, ma io una pinta non la reggo NON ROMPETE!!)

C’è anche un secondo cameriere, anziano, questo veramente irlandese doc, infatti tutti i turisti vogliono la foto con lui, è piccolo, snello, testa un po’ grossa soprattutto alle tempie, quasi pelato, occhio da ciucco perso, insomma un capolavoro. Questo bel tomo posa con eccessiva violenza sul bancone un panino gigante, 5 strati di carne, insalata, formaggio ecc… SPAVENTOSO! e, causa tale violenza, la metà superiore del panino, già in precario equilibrio, cade a terra in mezzo ai trespoli per i bevitori al banco. Lo sporco che c’è a terra è indescrivibile, perfino troppo per la zozzissima Dublino, scarpe, birra versata, schifezze varie, il tutto ben amalgamato da uno straccio vomitevole che ogni mezzora viene passato sul pavimento e, credo, risciacquato ogni 2 anni. Siamo subito bloccati dalla curiosità, come finirà? Dopo un po’ il cameriere giovane vede il piatto con il panino scapuzzato, lo osserva con stupore, perplesso, poi capisce e, ironicamente, si rivolge al cameriere anziato chiedendogli ragione dell’insolita foggia: Il vecchio guarda con occhio perso e incredulo, ma insomma, lui aveva preparato un panino completo, cosa è successo? Dopo un po’, con farte indifferente, gira intorno al banco e va a vedere, con nonchallance (chisà come si scrive), se trova il suo mezzo panino e … ECCOLO! spiccicato a terra nello schifo del pavimento e … hop, con mossa felina e rapida che non ti saresti mai aspettata lo raccoglie e lo rimette al suo posto.

Inorriditi, vogliamo proprio vedere chi sarà la vittima: c’è un ciucco, su cui scomettiamo perchè non è in grado di aver visto niente, alcuni turisti ignari con cui ci sentiamo solidali, un tizio grande e grosso, in giacca e cravatta, a mezzo metro dal piatto col panino ma che gli volge le spalle assorto a vedere la solita TV con Sky e il solito calcio che infestano i pub irlandesi … suspence … E’ LUI! che non si è accorto di quel che gli succedeva a mezzo metro e, senza nemmeno distogliere lo sguardo dallo schermo addenta gioioso pane e rumenta. Noi scappiamo con lo stomaco in subbuglio ma contenti, perchè uno scemo così se lo meritava – o quasi, perchè peste e colera non si può augurare a nessuno.

Racconti dublinesi 1

“Signore, fa’ che ci sia il gatto!”

La cucina irlandese non è solo poverissima (il che farebbe dire poveretti) ma terribile per ingredienti, modo di assemblaggio e cottura; se poi vi si aggiunge una landlady taccagna come quella presso cui alloggiavamo, sei proprio nei guai. Il momento più terribile è stato quando una sera, dopo che nel packet lunch del mattino avevamo trovato un sandwich al tonno dal colore e sapore dubbi, aprendo il frigo, abbiamo scoperto una scatoletta di Kitekat: gatti non ce n’erano in giro, che lei alimentasse il gatto del vicino era impensabile, a chi poteva essere destinato, se non a noi? Con le budella attorcigliate, abbiamo cominciato a favoleggiare di un gatto che, sì, c’era, lo avevamo visto, forse era della nipotina e la scatoletta era lì in attesa della prossima visita, mah, … Signore, fai che ci sia un gatto! Quando, dopo un paio di giorni ed essendo casualmente in casa in tarda mattinata abbiamo visto un povero essere spelacchiato che, reggendosi a stento sulle zampine, si dirigeva verso un piattino su cui era stato posto un poco (MOLTO poco) di pappa – arrivarci o morire di fame, questa la dura legge irlandese – aaaahhh che sollievo, grazie Signore grazie GRAZIE!

Dignità

(da “La forma dell’acqua” di Andrea Camilleri – il primo romanzo con protagonista il Commissario Montalbano, ed. Sellerio)… In breve, Gegè potè inaugurare alla ma’nnara il suo mercato specializzato in carne fresca e ricca varietà di droghe sempre leggere. La carne fresca in maggioranza proveniva dai paesi dell’est, finalmente liberati dal giogo comunista che, come ognun sa, negava ogni dignità alla persona umana: tra i cespugli e l’arenile della ma’nnara, nottetempo, quella riconquistata dignità tornava a risplendere. …

La ragion d’essere

Non so se è l’ambiente provinciale o se è così dappertutto e, magari e fatte le debite proporzioni, anche tra i grandi e grandissimi, ma accade che un tizio di dubbie abilità ma indubbia presunzione venga a fondare un nuovo (e non richiesto) circolo culturale; potrà produrre, a sostegno della giustezza della sua iniziativa, la “certificazione” dell’illustre critico, certificato a sua volta dall’illustre pittore, che il grande scultore non mancherà di certificare, lui che dal Nostro sarà certificato ? e così via autocertificandosi impunemente. In questa nostra società dell’Avvenimento, non potrà mancare il grande sforzo dell’Inaugurazione, cui verranno invitati gli eminenti artisti (come certificati al modo di cui sopra) con un allettante programma: esibizione concertistica del grande musicista, lettura di poesie della grande poetessa e, meraviglia!, omaggio della replica in piccolo dell’opera del grande disegnatore.

Dopo di che … un’altra Grande Inaugurazione, con grande programma come sopra, enfaticamente presentata sulle pagine locali dei quotidiani dall’illustre giornalista, come certificato da ecc. ecc. Alla terza inaugurazione, se mai esistesse qualcuno che voglia andare per il sottile (la calunnia è sempre in agguato, si sa) si potrebbe proporre una modifica allo Statuto del circolo, sostituendo alle formule di rito (promuovere lo sviluppo culturale, curare la didattica dell’arte nelle scuole, ecc.) l’esplicita dizione: scopo sociale del circolo è la propria inaugurazione.

Per finire: chi paga? Beh, certo, inizialmente (e meritoriamente) ci metteranno del proprio, ma presto, di certificazione in certificazione, si arriverà non certo al mecenate, specie estinta ché chi ha il denaro le certificazioni le vuole dalla propria Banca, ma alla peggiore figura del nostro poco consolante panorama: l’illustre Assessore (come certificato da ecc. ecc.) che ci metterà sì i soldi, ma i nostri …

La Musica

Di Guido Ghezzi

La musica, come tutte le altre forme espressive dell’intelligenza umana, si presenta come una grande catena montuosa, che l’occhio percepisce come un vasto paesaggio composto da innumerevoli cime, picchi e valli. Da questo metaforico paesaggio emergono alcune grandi vette, che si elevano ben al di sopra delle altre.
L’ideale viaggiatore troverà angoli incantevoli qua e là, stralci di paesaggio evocativi, panorami struggenti e potrà così trovare appagata la propria sete di sensazioni, ma finirà prima o poi per imbattersi in quelle vette inarrivabili, che incutono smarrimento perchè potente è ciò che la loro percezione sottende.
Quindi, lasciando in sottofondo questa immagine e tornando alla musica, penso si possa dire che moltissimi sono gli autori interessanti, intriganti o semplicemente piacevoli, mentre pochi, isolati ed inarrivabili restano coloro che furono guidati dal genio e dominano sulla moltitudine, proiettando un’ombra intensa ed estesa. Ritengo un errore limitare l’ascolto della musica ai prodotti di questi giganti, che pure ne costituiscono indiscutibili (ma su questo argomento particolare torneremo) pietre miliari. Per essere chiari e soffermandoci sulla musica occidentale comunemente definita “classica” (che è una nicchia, per quanto importante) non si deve commettere l’errore di confinare le proprie esperienze ai Bach, Mozart, Beethoven, Haydn, Schubert, Brahms e forse pochi altri che condividono l’empireo.
Vedo almeno due conseguenze di una tale limitazione, entrambe esiziali:

  • ignorare una miriade di autori che comunque hanno spesso prodotto ottima musica (che regala piacevoli sensazioni e già questo basterebbe) e che in alcuni casi hanno posto le basi su cui i geni hanno costruito i loro monumenti, monumenti che tanto più possono dare all’ascoltatore quanto più se ne conoscono le premesse;
  • perdere la visione d’insieme dello sviluppo della musica in quanto forma d’arte legata allo sviluppo storico-cognitivo dell’uomo. Fissare una grande cima svettante, pur lasciandoci senza fiato, ci priva della visione d’insieme del panorama.

Quindi, riportando la nostra immagine di sottofondo da cui siamo partiti in primo piano cerchiamo di essere buoni viaggiatori e non disdegniamo il piccolo lago ai piedi dell’esaltante grande parete che ci domina, assaporiamo l’aria tranquilla della valle senza nome che incide il fianco della montagna, percorriamo il sentiero che svolta sul dorso del piccolo colle nell’ombra della vetta e lasciamo che il nostro occhio non abbia limiti.

La gioia è nell’interezza.

Famolo Strano

Ricordate il film di Verdone, in cui una coppia già sazia di sesso e l’uno dell’altro si sposa e, durante il rituale viaggio di nozze, cerca stimoli nuovi ad un rapporto logorato? Beh, non credo che noi appassionati di musica dotta ci si possa dire sazi come i due personaggi del film, tutt’altro, soprattutto i cultori del “brutto anatroccolo” noto come “Musica antica” … Ma parrebbe che sazi lo siano i promotori di eventi musicali, visto che orientano le proprie energie nell’escogitare sempre nuovi ed eccitanti scenari per le esecuzioni: non solo musica nelle piazze, musica sulle spiagge, musica sui ghiacciai (con buona pace dei miei conterranei trentini), musica nei tetri androni di palazzi, musiche nei chiostri, musiche sulla fortezza e avanti così, di stranezza in stranezza; tutto curando, fuorché la fruibilità della musica, relegata a comprimaria dei “contenitori”, spesso inudibile (salvo impiego degli orripilanti sistemi di amplificazione) o da fruire sull’orlo della crisi isterica, in piedi o stipati su seggiole da tortura, in mezzo a disinteressati che hanno solo voluto “partecipare” salvo allontanarsi senza rispetto per chi vorrebbe ascoltare, a bambini che strillano o poppanti singhiozzanti per non parlare di gabbiani gracchianti, camion della Nettezza Urbana che effettuano ignari il loro rituale svuotamento dei cassonetti, sempre che non passi qualche incivile con impianto stereo dell’auto a tutto volume … Eppure Toscanini diceva che “all’aperto si gioca alle bocce” e, se c’è da esibire la (stracostossissima e quasi certamente tangentosa) ristrutturazione del teatro da parte dell’architetto alla moda, tutti si sprechino in elogi della comodità e della fedeltà dell’ascolto. Probabilmente il tutto è da ricondursi al connubio arte-turismo, il solo che legittima la spesa per una cosa tanto inutile quanto la buona musica, ignorando che il turismo è la Fossa delle Marianne dell’arte e del gusto; certo, musicisti e manager devono pur mangiare, e spesso non c’è altra occasione d’ascolto che queste: ma quanto sarebbe bello fare le cose al posto giusto nel modo giusto, tanto più che c’è tanta musica interessante, diversa da quella che amo, che viene bene nelle piazze, sulle spiagge, ecc. E allora, facciamoci questa, e per i melomani rassegnamoci a spendere senza “ritorno d’immagine” turistica, ostrega!

Favola Inutile

Favola Inutile

( di Andrea Camilleri )Una vespa si posò sul collo di un contadino.
“Ora ti pungo” – fece la vespa.
“Ragioniamo un momento” – disse il contadino – “Che te ne viene? Io massimo massimo mi faccio due giorni di febbre, tu invece, dopo avermi punto, sei costretta a morire. Ti pare cosa?”
La vespa non rispose e lo punse.
Colto da choc anafilattico, il contadino morì. Il suo ultimo pensiero fu: “Se l’ammazzavo con una botta invece di farla ragionare, a quest’ora sarei ancora vivo”.
A poca distanza, sconciata, la vespa stava per morire. Il suo ultimo pensiero fu: “Se ragionavo invece di pungerlo, a quest’ora sarei ancora viva”.

Questa è una favola assolutamente inutile.