La Musica dell’alchimista

Il rapporto tra musica ed esoterismo è strettissimo fin dall’antichità più remota. Se il cosmo è retto da regolarità armoniche, allora la musica può esserne una delle chiavi interpretative e dunque una porta d’accesso ai misteri della creazione. Un libro affascinante, appena uscito a Savona, sviluppa questa tematica, riproponendo l’opera di un singolare compositore-alchimista.

La musica dell’alchimista

Esce presso L. Editrice – Cairo M. Savona – e a cura della savonese ass. cult. Li Musicanti la trascrizione in notazione moderna delle 50 fughe composte da Michael Maier per l’edizione del 1617 della sua Atalanta Fugiens. Si tratta di un libro rivolto ad un pubblico di specialisti e cultori di musica, in particolare della cd. Musica Antica, ci si offre l’occasione, tuttavia, per ricordare questa singolare opera del medico e alchimista tedesco, a suo tempo famosissimo in tutta Europa.

Michael Maier nacque presumibilmente nel 1556 (altri indicano la data del 1568) a Rendsburg, nello Holstein. Nominato dottore in medicina e filosofia nel 1601, percorse tutta Europa acquistando grande fama sia come medico sia come alchimista, fino alla nomina a “fisico di corte” in Praga presso l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo, che amava circondarsi di maestri dell’occulto e del magico. Alla morte di questi e alla conseguente dispersione della sua particolare cerchia di favoriti, si recò ripetutamente in Inghilterra, dove contribuì alla nascita del movimento dei Rosacroce. Grazie alla protezione di sovrani correligionari, nel giro di soli otto anni pubblicò ben sedici volumi di filosofia ermetica che contengono tra l’altro, per quanto concerne la musica, nozioni sul simbolismo musicale dei pianeti, la musica delle sfere e la correlazione tra suoni e metalli.

Nel 1617-1618 fu pubblicata la prima edizione della sua opera più rappresentativa, la Atalanta Fugiens per l’appunto, o dei nuovi emblemi chimici dei segreti della natura. Il libro si compone di 50 Emblemi, oggi diremmo piuttosto capitoli, contenenti brevi dissertazioni chimico-esoteriche (Discorsi), precedute ognuna da un motto in latino e da un epigramma di sei versi, anch’esso in latino, che anticipa il contenuto del discorso e che fornisce il testo alla relativa fuga a due voci più un tenor (base melodico-armonica pressoché invariata in tutti i 50 brani); il tutto è completato da una illustrazione anch’essa correlata all’argomento in trattazione, su uno sfondo di città: per l’epoca, quindi, una sorta di opera “multimediale” che, mediante i diversi approcci (visivo, sonoro, letterario, scientifico), apre squarci sui contenuti iniziatici dell’opera; nella presente edizione sono omessi solo i Discorsi, che il lettore italiano può trovare nell’edizione integrale in italiano a cura di Bruno Cerchio per la “Biblioteca Ermetica” delle Edizioni Mediterranee, Roma, 1984/2002.

Il filo conduttore dell’opera è il mito di Atalanta, vergine guerriera che sfidava i suoi spasimanti ad una gara di corsa, avente come premio il matrimonio in caso di vittoria del pretendente ma, in caso di sua sconfitta, peraltro certa, la sua uccisione; finché Ippomene, l’ennesimo pretendente, escogita uno stratagemma: durante la corsa lascia cadere dei Pomi d’Oro donatigli dalle Esperidi, che attirano l’attenzione della ragazza, facendole perdere la sfida e, quindi, costringendola alle nozze.

I tre protagonisti del mito (Atalanta, Ippomene e il Pomo) simboleggiano altresì gli elementi chimici di base utilizzati nel procedimento alchemico ma, soprattutto, improntano le composizioni musicali, le cui tre voci sono indicate come Pomum Morans il tenor, Atalanta e Hippomene quelle che si inseguono in forma di fuga.
Ulteriori episodi del mito compaiono in parecchi Emblemi, così come altri fatti mitologici estranei, ragionamenti filosofici, esperimenti chimici, suggerimenti medici; inutile dire che l’interpretazione degli Emblemi è legata ad un percorso individuale di conoscenza, che qui non è né possibile né opportuno affrontare.
In conclusione, anche il lettore con una competenza o un interesse musicale non specialistico può trovare interesse per questo volume, scoprendo il piacere per la reminiscenza mitologica, gustando le splendide incisioni con vedute seicentesche di varie città tedesche e ricercando nei versi degli epigrammi suggestioni e significati che esulano dal quotidiano, sia che si tratti della scoperta della cura delle malattie mediante la sauna (emblema XXVIII) sia che si provi un legittimo orrore per la produzione di medicamenti (emblema V) realizzata attaccando al seno di una donna un rospo, che lo sugge fino alla morte della stessa e a scoppiare per ipernutrizione.
Atalanta Fugiens – 50 fughe di Michael Maier
A cura di Vittorio Garofalo
Prefazione di Emilio Pernici

La poetessa di Cairo

Sabato scorso Enrico – che i lettori di questo mio angolo di esternazioni conoscono bene (vedi Racconti Dublinesi, Morte in Valle Stretta ecc.) – ha presentato a Villa Cambiaso una sua raccolta di versi, la prima che rende pubblica: “l’Uomo di Spade” (stampato in proprio). Vista la difficoltà di reperire il libro, soprattutto per i non-savonesi, mi permetto di “rubare” a Enrico e proporre ai miei lettori uno dei suoi pezzi, quello che è risultato più in sintonia con la mia natura bizzarra (chiamiamola così); certo, ce ne sono di più preziosi tecnicamente, e di più sentiti e commossi, ma ho scelto l’esito poetico di un episodio (chiaramente autobiografico) da tanti punti di vista significativo.

La poetessa di Cairo

Pallida poetessa sciorini la tua languida lirica sfiatata
deposta su ricca pergamena
vestendo di seta e broccato il tuo nulla.

Canti il sole e le stelle
e ti consoli con Cristo.
T’aspetti ch’io tenga
la tua manina diafana
sbatta le lunghe ciglia
fissando il tuo pallore lunare
e ti parli della Bohème
invece … … … …

che fai? arretri? ti schermisci? inorridisci?
non è più onesta questa carnale durezza,
non t’ispira pur lieve carezza?
Di Majakovskij, Lawrence, Moravia
volevi parlare.
Bene, non svenire, lo metto via,
sei vegetariana e di Famiglia Cristiana.

La Musica della mente, la musica del corpo

Venerdì 29 ottobre dalle 8.30 alle 16.45 presso l’Aula Magna “Achille Mario Dogliotti” dell’Ospedale Molinette di corso Bramante 88 a Torino, l’associazione R.aVi., in collaborazione con il V.S.S.P. e nell’ambito del decennale dell’associazione, organizza il convegno “La musica della mente, la musica del corpo” per far conoscere agli operatori sanitari alcune possibili applicazioni della musicoterapia in ambito ospedaliero e promuovere una migliore integrazione psico-corporea nei processi di cura e guarigione del paziente. Essa, infatti, può rappresentare un valido ausilio alle modalità di intervento medico, psicologico, infermieristico, educativo e riabilitativo. L’appuntamento formativo mette particolarmente in risalto il valore innovativo di questo approccio, nella nostra regione, rivolto da tempo all’umanizzazione dei diversi ambiti di cura. Modera il convegno Gerardo Manarolo.

“immagine tratta dalla locandina del convegno”

Un nuovo racconto (Còrso)

LA RICERCA DELLA FELICITA’

Trascorsi Còrsi

La spiaggia.

E’ un’ossessione, una nevrosi collettiva quella che colpisce l’Amante della Vera Corsica, quella della ricerca della spiaggia isolata: San Ciprianu, un viale circondato da negozi e pubblici esercizi di 300 metri ed eccoci direttamente sulla spiaggia, sabbia morbida, una bella baia, praticamente nessuno! Strano no, visto che gente in giro ce n’è, eccome? Ebbene no, a parte qualche anziano sderenato, mamme con bambini troppo piccoli e pochi pigri, il resto dei turisti sono altrove, alla ricerca della spiaggia isolata; e allora anche noi in marcia, sotto un sole impietoso, borsone con bevande asciugamani e ammenicoli vari, ombrellone, magari anche un lettino, più in là, ancora più in là …

Ci lasciamo alle spalle chi si è arreso, chi li guarda con commiserazione, chi con invidia … Il caldo intontisce, gli occhi sono velati dal sudore e dalla fatica, le centinaia di sederi incontrati sono diventati un’unica gigantesca chiappa grande come una collina, leggermente vibratile di nervi sfiniti, su cui si accendono per un attimo, come le caduche faville delle lucciole, i pochi seni nudi femminili …

Più in là, ancora più in là: la sabbia appesantisce le scarpe oppure la rena bagnata le inghiotte come sabbie mobili oppure ci si inciampa nelle alghe morte, e c’è da guadare un fiume, arrampicarsi sulle Rocce Rosse, balzare come caprioli imbolsiti da un masso all’altro, qualcuno traballa sotto i piedi, Rosanna che ha voluto fare la strafica ha gli infradito coi tacchetti e già la vedo precipitare, rompersi una gamba, portata via avvolta nei teli da spiaggia o impalata dall’asta dell’ombrellone, oppure via mare come un delfino ferito con le borse a fare da galleggianti, e via per un sentiero di rovi, più in là, ancora più in là …

E infine si arriva ad una spiaggia che è molto più affollata di quella da cui si è partiti! Infatti, non solo la superficie utile è infinitamente meno, ma soprattutto sono successe almeno una di queste due cose: 1) hanno costruito una strada con parcheggio che dà direttamente sulla spiaggia, per carità, un infame tratturo che manco le capre, che le sospensioni dell’auto gridano vendetta e te la giurano, che se incroci uno in senso contrario non te la cavi più, e il parcheggio ti costa 7 euro per infilarti dove un’auto non dovrebbe mai arrivare, ma è pieno, e di conseguenza anche la spiaggia, e quando il pellegrino devastato dalla marcia a piedi arriva è guardato con stupita commiserazione, eppure questa situazione è quella migliore, perché 2) la spiaggia è occupata da una marea di Amanti della Vera Corsica che hanno scelto questo lembo di terra coperta da poca sabbia granulosa e pietre, e sono veramente incazzati, ancora gente che viene a turbare il loro (inesistente quanto impossibile) isolamento, inquinare la loro acqua, e così ti becchi anche un “Soliti italiani, si sono messi proprio sul passaggio”, e quelli che se ne vanno uomini donne bambini cani di varie taglie ti camminano sugli asciugamani ti abbattono l’ombrellone e tu zitto, sovrastato dall’ostilità che promanano …

I Muscoli

Sono buoni, è vero, ma sono delle bestiacce immonde che assorbono tutte le schifezze dell’acqua e se ne alimentano, tant’è che quando c’è anche il minimo rischio di epidemia le Autorità ne vietano il consumo. Noi, sciocchi che siamo!!!, di solito prima di mangiarli gli diamo una bella lavata sotto l’acqua del rubinetto, sperando così di lavar via un po’ della porcheria che hanno in corpo, ma ohibò così gli togliamo tutto il sapore, vanno sciacquati sì, ma con l’acqua di mare!!!

Eccomi quindi con 4 bottiglie di plastica che procuro il liquido necessario, ma non ho una barca o simili da andare a prendere l’acqua di mare al largo, mi rifornisco dalla spiaggia, e guardo con sospetto il suo colore grigiastro con un po’ di giallo, la quantità di cose indefinite che galleggiano, dubito che quella che i muscoli hanno in corpo sia peggiore di questa, ma soprattutto, malgrado mi sia allontanato un po’ dalla gente, ci sono un anziano e una ragazza che fanno il bagno; ora, io (ma mi risulta quasi tutti) la prima cosa che faccio appena immerso nell’acqua è orinare, perciò per riempire le bottiglie mi tengo a metà tra i due, però col loro collo rivolto verso la ragazza, chè se devo suggere piscio insieme ai muscoli che mangio, almeno sia il suo e non quello del vecchiaccio!

Un nuovo racconto (londinese)

MERIDIANO ZERO – La Casa degli spiriti

Settembre, andiamo, è tempo di migrare … e cosí anche quest’anno ho accompagnato Rosanna ed Enrico nella melodrammatica spedizione in terra d’Albione che loro chiamano “stage linguistico”; è la terza volta, l’anno scorso eravamo a Dublino (vedi Racconti Dublinesi 1 e 2 ) e due anni fa ad Hastings; quest’anno siamo andati a Greenwich, che come benvenuto ho scoperto che non si dice “Grinuic” come ho pronunciato e sentito pronunciare per sessant’anni, ma “Greenig”!

Per amor del vero, solo la scuola frequentata al mattino dai ragazzi era a Greenwich, le famiglie che ci ospitavano erano a Catford, sobborgo del sobborgo londinese di Lewisham; dalla brochure dell’agenzia, apprendiamo che Lewisham ha 60.000 abitanti, di cui il 66% di razza bianca e il 22% di razza nera, caraibica o africana: ma i bianchi o stavano tutti concentrati altrove o stanno in casa mentre i neri corrono avanti e indietro come pazzi, perché sembrano il 90% almeno!

E infatti, quando al punto d’incontro arrivano le famiglie a prelevare i ragazzi e noi group leaders, dopo due donnone bianche e un omino anche lui bianco, gli altri sono tutti di colore. Ora, i miei lettori più evoluti non troveranno in questo niente di strano, ma per me che a Savona se incontro dei neri sono o mendicanti o venditori ambulanti fa un certo effetto; mi consola che anche i ragazzi, tanto più giovani di me e più “moderni” sono un po’ stupiti e qualcuno anche imbarazzato; mi dico “Bene! Ecco una bella lezione di cultura inglese … ” Falso e ipocrita, perché a me, stando alla solita brochure, spetta la manager di un asilo, diamine, sarà bianca certamente … e infatti ecco comparire una signora di colore ENORME, faccione quadrato, capelli crespi cortissimi, che mi leva di mano le due valige che penosamente sto trascinando verso di lei e con due dita le schiaffa nel portabagagli di una cosa che, in tempi remoti, era una automobile, oggi non saprei come definirla; comunque parte, e la signora guida come un pirata della strada insultando gli altri automobilisti che non le fanno strada, peraltro abbondantemente ricambiata – quando si fa largo a colpi di clacson io sussurro un penoso “Italian style” con un timido e prudente sorriso, lei si fa una bella risata e dice “Yaaa!”.

Sto pensando che era ovvio, in una zona nera con asili frequentati da neri era la cosa più ovvia che anche la direttrice fosse nera, quanto alla presunta automobile, se non lo so io che gli stipendi pubblici sono bassi … stiamo percorrendo la via in cui si trova la casa, tipico viale inglese con casette a due piani monofamiliari accoppiate a due a due, ma che tristezza: ci sono tantissimi cartelli “TO LET” e le case in vendita sono desolanti e un po’ spettrali, con le tendine alle finestre sporche e strappate, il giardinetto pieno di oggetti abbandonati e ruggini, talvolta pensino un’auto coperta da due dita di sporco, gomme sgonfie, che fanno pensare ad una rovina drammatica ed improvvisa ma danno a tutta la via un aspetto tra il desolante e l’inquietante, con questi fantasmi di vite spezzate alternati alle case normalmente abitate.

Arriviamo alla casa e, sorpresa, scopro che la manager di asilo, comunque, e fatti salvi i controlli delle autorità preposte, il posto se lo è creato da sè adibendo il piano terra della sua abitazione ad asilo privato; peraltro scopro che non è la signora che mi accompagna perché questa, per trovare la nostra camera, deve provare tutte le porte che, strano però, sono tutte chiuse a chiave. Chi sarà la nostra landlady? Perché tutte le porte sono chiuse? Chi vive in questa casa che è tanto grande ma pare deserta?

La camera è grande, arredata con due letti con rotelle, cosí di notte ti sembra di essere in barca, mare mosso; è pulita, ma la squallida pittura old blu è alternata a generose spatolate di stucco bianco, neppure carteggiato, che dà un senso di precario … e non c’è luce, cioè c’è solo il lampadario centrale, niente comodini, niente lampadina da notte … e l’armadio, un kitch terribile, falso rococò con i bordini in finto oro che ne mancano per cosí, e il retro è sfondato e si apre su un buio nulla preoccupante: topi? Per sicurezza tengo tutto in valigia, ma anche questa, lí aperta per terra aggiunge desolazione a desolazione e anche un che di provvisorio in attesa di … ?

Arriva finalmente, la landlady, di origine giamaicana, per quel che ne capisco, laconica fino al nulla, parla peraltro un inglese strano e non solo per me, anche per Rosanna che ne ha sentito di tutti i tipi, tutto gutturale con frequenze da baritono, e poi un’aria tristissima e un gran mazzo di chiavi, saranno un centinaio, con cui apre e subito richiude ogni porta per cui passa; e poi vive in un’unica stanza, quella accanto alla nostra, dove dorme mangia e tiene la TV accesa giorno e notte – e anche il caminetto, ma se sembra di essere estate, ce l’ha il sangue nelle vene??!!??

Rosanna non sa resistere alla voglia di fumare in camera, anche perché uscire la sera davanti a casa, beh, le fa un po’ paura; lei se ne accorge subito e le fa una faccia orribile, fumare, se non se ne può fare a meno, dice con tono minaccioso, si può, ma fuori dalla porta di casa … e Rosanna terrorizzata si rassegna a tenersi la voglia fino al mattino.

Noi, da bravi italiani, ci siamo procurati una bottiglia di vino per la cena e gliene offriamo … mamma mia, cosa abbiamo fatto! Scandalizzata ci dice di appartenere a una religione che vieta assolutamente di bere vino, ‘zzo, anche questo oltre al fumo, e che altro?

La religione che dichiara di professare non è poi cosí esotica, addirittura c’era anni fa a Savona un gruppo di suoi confratelli – però bianchi – e poi l’atmosfera della casa e il soggetto ci fanno inesorabilmente pensare a qualche strano rito, non dico il vudù, ma in cosa consisteranno i loro riti?

E poi, perché la nostra camera non ha la chiave da potersi chiudere dentro almeno di notte?

Arriva il sabato, passiamo una giornata pesantissima portando i ragazzi a Londra fin dal mattino, il giorno dopo ci aspetta una levataccia per andare a visitare un qualche castello chissà dove, arriviamo distrutti con un po’ di anticipo, la incontriamo sulla soglia di casa e ci dice che sta andando in chiesa e che resterà lí tutta la notte (??) beh, meglio, nella casa vuota siamo più tranquilli; ma …

Arrivati alla nostra camera, scopriamo che è chiusa a chiave! Dentro c’è tutto, dal carica telefonino (che dà il segnale di batteria esaurita, ovvio no?) ai vestiti per cambiarci, al necessario per la toletta, alla giacca perché si è messo un po’ freddo … Proviamo a cercare la chiave, ma giriamo per tutta la casa, enorme, senza trovarla né trovare niente che possa aiutarci ad aprire la porta, vuoi una chiave diversa come quelle che trovo in un armadio a muro che ho aperto facendomi il segno della croce, al cacciavite, anch’esso lí dentro, ma bisognerebbe distruggere lo stipite, che oltretutto è appena stato ridipinto, io il coraggio non ce l’ho!

Rosanna prova con le ultime risorse del telefonino a chiamare il numero che ci ha dato l’agenzia: le risponde un inquietante rumore come di sciacquio e una voce cavernosa in un anglo-vudù le chiede chi è, lancia alcune grida indecifrabili e chiude la comunicazione!

Sconsolati, ceniamo e andiamo come al solito al pub per incontrarci con Enrico – la signora non ha mai mostrato di gradire queste uscite serali, anche se noi le giustifichiamo con la necessità di verificare che i ragazzi siano tutti a letto (e questi stanno in casa finché quello lasciato di sentinella li avverte che NOI siamo andati a letto, dopodiché se ne scappano a Londra mentre noi dormiamo sonni beati pensandoli al sicuro). Appresa la triste vicenda, Enrico non ha dubbi: “Buttate giù la porta!” ma io so che non lo farò mai, anche perché tremo al pensiero di come reaggirebbe la padrona di casa.

Torniamo verso le 11, sperando con tutte le nostre forze che il sabato di preghiera si concluda prima o poi, chissà mai, malgrado quello che ci era stato preannunciato; intanto cominciamo a cercare una sistemazione per dormire: sulla moquette del corridoio? Ma che schifo! C’è una poltrona! Ma non si apre, è a dondolo, Rosanna ci si sdraia ma mezzo eretta non riesce a prender sonno, e poi è arrabbiatissima e giura che non ce la farà a dormire per tutta la notte. Io intanto esploro tutta la casa e, sorpresa!, dietro l’unica porta aperta trovo una camera da letto matrimoniale, con tantissimi abiti e scarpe lussuosi appesi qua e là, ma di chi sarà mai, è qui che si cela il segreto di una vita precedente della nostra misteriosa ospite, una vita di dissoluzione e peccato … c’è perfino il materasso ad acqua, che dai tempi di “La Signora in Rosso è sinonimo di peccato …

Io propongo di sdraiarci sul letto, magari stando leggeri … ma Rosanna giura che non lo farà, sente gli spiriti, ha paura della padrona, e poi … boh, insomma niente da fare.Io a mia volta non sono tranquillo, richiudo la luce e la porta con cura (che nessuno si accorga che la abbiamo aperta) e metto le 4 sedie della sala da pranzo affiancate a farmi da letto … e mi addormento malgrado Rosanna mi guardi con occhi di brace dalla sua scomodissima poltrona. Mi sveglio dopo mezzanotte, mi fa male l’anca su cui sono appoggiato, della padrona di casa ancora nessuna notizia, mi sa che non torna proprio, per fortuna Rosanna ha preso sonno, cosí pian pianino mi giro sulla schiena e mi riaddormento. Ma dopo poco mi sveglio a) semiparalizzato b) non riesco a respirare c) la schiena urla il suo sdegno per il trattamento riservatole; mi butto giù dalle sedie rischiando di farmi male e svegliando Rosanna, dopo un po’ riesco ad alzarmi e “Basta!” sono le 2 di notte, alle 6 ci dobbiamo svegliare, la tipa per questa notte non si farà vedere e quindi io vado a dormire nella Stanza del Mistero – Rosanna non cede, si gira di mezzo centimetro sulla poltrona e cerca di riprendere sonno.

Ovviamente (ve lo potete immaginare) non vado sotto le coperte, sposto appena degli abiti che stanno sul letto memorizzando spasmodicamente la loro posizione per rimetterli al mattino esattamente come li ho trovati, dormo leggero, cerco di non muovere neppure il materasso che però fa dei blog blog ad ogni mio respiro che sembrano cannonate, li sentiranno in tutta Catford chiese comprese! ma almeno la schiena non si lamenta e riesco perfino ad appisolarmi, per svegliarmi alle prime luci dell’alba per il freddo, ma sollevato dal fatto che la megera non si è proprio vista, che riesco a rimettere tutto com’era nessuno si accorgerà di niente e poi chissenefrega! A me toccava un letto per la notte, no? E comunque è tutto uguale a ieri, nononono nessuno se ne accorgerà.

 

Dopo una giornata orribile, a dormire sul bus per tutto il viaggio, coi vestiti sporchi, sentendo freddo senza una giacca pesante, ecc. torniamo a casa domenica sera e – MERDAMERDAMERDA – è chiusa anche la controporta d’ingresso, quella di cui non abbiamo la chiave! Io sono sgomento, Rosanna diventa una belva e quando la strega arriva, dopo una mezzora, temo se la sbrani! La poveretta si scusa, aveva operai per casa e per proteggere la nostra roba ha chiuso tutto a chiave poi è corsa in chiesa e si è dimenticata di riaprire, è mortificata fino alle lacrime … cosí la nostra rabbia sbollisce, ci regala addirittura una bottiglia di vino (dono per il quale finirà all’inferno, ma non credo che il suo paradiso sia molto più divertente) e poi, dopo esserci baciati in segno di riappacificazione, per tutta la settimana restante mangiamo da dio, leccornie di ogni tipo – con grande invidia da parte di Enrico, che invece è tenuto a stecchetto dal suo padrone di casa bianco e tirchio.

Soft New Age?

Nel libretto allegato al suo ultimo CD (La Force et la Doucer – Marin Marais/Jacques Gallot – 2009 Passacaille – Musica Vera 957) il valente gambista Vittorio Ghielmi affronta un argomento di grande interesse: la autentica interpretazione “autentica” e le esecuzioni filologiche odierne.

Ghielmi afferma che, ” … trattandosi di una retorica musicale assai lontana e forse inconciliabile alla moderna, possiamo immaginare che un CD realmente eseguito à la Marais da Marin Marais in persona non riceverebbe oggi alcun premio della critica o sarebbe forse pubblicato da qualche collana di reperti etnomusicologici. Se infatti ci soffermiamo seriamente sulla lingua e retorica del teatro francese di fine ‘600, così come sui testi musicali, ci rendiamo immediatamente conto che si tratta di ‘forme’ talmente cristallizzate e differenti da ciò che nella nostra retorica musicale sembra ‘naturale’, che il paragone, già usato, tra queste forme d’arte barocca e il teatro No non è sicuramente fuori luogo, almeno per quanto attiene allo straniamento retorico del linguaggio. I parametri in gioco sono tutt’altri, sicché è assai probabile che i fenomeni del linguaggio musicale ritenuti centrali da Marin Marais e dal suo pubblico siano per noi i fenomeni secondari e viceversa.”

Segue la dimostrazione di quanto affermato attraverso le testimonianze coeve dello stile esecutivo di Marais – da Défense de la Basse de Viole (1740) di Hubert Le Blanc al Méthode pour apprendre à jouer de la viole di Etienne Luolié – “… in cui i suoni non sono sostenuti e modulati durante l’arcata. … Il suono così prodotto presenta dunque una éclipse centrale, cioè un vuoto che segue immediatamente l’articolazione della nota, come in una corda percossa da un plettro … come negli strumenti a pizzico .. ” anche se ” … Marais era capace di variare queste brevi articolazioni del suono in sei modi differenti, cioè, trattandosi di colpi di plettro, di produrre sei attacchi diversi, sei consonanti differenti …”.

Quindi, “… in nessun modo la melodia, frammentata ad ogni arcata, sembra essere il parametro principale … Marais ricerca innanzi tutto una ‘natura’ del suono … Dunque la scrittura musicale (la melodia, il ‘pezzo’) non è che una sorta di pretesto … per far fare apparire un universo nascosto nella risonanza … Un universo sonoro, quello degli armonici e dei loro rapporti, che per l’uomo antico è analogo all’ordine cosmologico e sua immagine, e che nel suono si può toccare fisicamente…”.

Una esecuzione di tal tipo ricerca quindi ” … Una retorica … codificatissima alla ricerca della ‘vera’ dolcezza, intesa come manifestazione di una realtà superiore e non come una serie di piccoli trucchi ed abbellimenti messi in atto per accattivarsi il pubblico … Come in tutte le musiche tradizionali l’ornamento ha innanzi tutto un ruolo articolatorio; serve a far ‘parlare’ lo strumento e solo come parametro secondario può avere anche una funzione melodica.”

Conseguentemente le esecuzioni a la Marais “… si allontanano anni luce dalla lettura soft-new age a cui questi testi musicali sembrano oggi superficialmente prestarsi …” e “… il colpo d’arco exprimé ou enflé … Questo modo di emissione, che è oggi praticamente un vizio continuo della tecnica gambistica e direi di tutto il fraseggio della cosiddetta ‘musica antica’ è, come vediamo, un caso ‘eccezionale’ nel testo di Loulié …”.

Mi scuso con Ghielmi per aver così abbondantemente saccheggiato il suo scritto per concludere con una mia considerazione di livello molto più terra terra e probabilmente banale: molte volte le esecuzioni de Li Musicanti sono state etichettate come “new age”; è una critica che accetto, ovviamente, e anche condivido; ma attenti, amici miei, perché come vedete la trappola del new age è sempre lì dietro l’angolo …

Morte in Valle Stretta

Eppure, di Enrico, avrei dovuto imparare a diffidare fin da Dublino. E allora, perché? Perché quando, raggiuntolo a Bardonecchia dove si trovava per le Celebrazioni della Settimana Bianca, mi ha proposto di andare a mangiare alle Grange di Valle Stretta: “… natura incontaminata … si arriva solo con gli sci o il gatto delle nevi … nessuna presenza umana tranne il ristoratore … tra rocce aspre e orridi … 8 chilometri e 700 metri di dislivello …” non gli ho prontamente risposto “NO! Si va a mangiare alla Pizzeria Vesuvio di Cicillo Esposito – anzi Escpoosito – detto O’ malamente” – livello di rischio massimo tollerabile?

Eppure la mia spedizione a Bardonecchia la avevo organizzata bene, con saggia prudenza e commisurazione accurata dei rischi: primo giorno esplorazione del paese, secondo giorno delle piste vestiti sí da sciatori, ma senza sci, solo al terzo (e ultimo giorno) avventurarsi sulla neve con i miei storici sci da fondo (niente di piú) da sciolinare con cura – di solito sbaglio sciolina e non riesco a muovermi, meglio, nessun rischio – malgrado ció il fato vegliava in attesa di un passo falso per farmi del male: alla prima discesina della pista “Baby 1” sforzo per frenare, mi si stacca la suola della scarpa con sci allegato e sbatto a terra orribilmente sfasciandomi una spalla!

Eccomi allora alle 18,30 di mercoledí a Pian del Colle, lo stesso posto dove c’è la pista di sci da fondo sulla quale mi sono fatto male (infausto presagio!) a guardare con orrore una motoslitta con cassone a rimorchio dove avrei dovuto salire: sí, perché non contento Enrico ha avuto una grande idea, non andare col troppo banale gatto delle nevi, ma con la motoslitta, le ragazze davanti e io e lui sdraiati nel rimorchio. Le ragazze suddette anziché aggrapparsi alle maniglie si avvinghiano l’una all’altra e la prima al guidatore (due volte trattorista, perché conduce il trattore e la trattoria, ahahahah) – mica scema la prima, lui è uno splendido esemplare di Homo Rudis Alpinus slanciato e solido senza un’oncia di grasso – noi messi di traverso con una copertina sulle gambe, uno guarda di qua e l’altro di là, non guardare avanti perché la moto solleva un po’ di neve …infatti dopo poco, malgrado le amorevoli cure di Francesca che mi ha messo in testa una fascia aggiuntiva, ho l’orecchia destra ricoperta da una lastra di ghiaccio e neve e metà faccia bloccata nel ghigno di un’orrida paresi. Intanto la motoslitta avanza nel deserto bianco, col rimorchio che oscilla ad ogni curva e si avvicina preoccupantemente al ciglio del baratro, io che mi puntello con piedi e ginocchia e mi aggrappo ovunque con mani chiappe e orecchie – come minimo ad un sobbalzo piú forte il braccio malandato mi si torcerà con un dolore tremendo!

Dopo un po’ dalla neve spunta un cartello stradale indicante il limite dei 30 – 30 che? 30 improbabili kilometri all’ora o 30 cadaveri all’ora? Avrete capito che, visto che va tutte bene e ci siamo lasciati un bel po’ di strada dietro, mi sto rilassando, sbircio le montagne, veramente aspre, e la valle, veramente stretta, del resto chissà quante volte al giorno va su e giú, sa cosa fare … la moto si ferma nel nulla; il conduttore ci comunica infatti che il vento ha innevato il sentiero, non sa se ce la fa a passare con il rimorchio, meglio se proseguiamo a piedi fino alla ripresa del sentiero e forse ci rivediamo là – tutto allegro avanzo nella neve in cui si sprofonda fino al ginocchio, ma le mie gambine sono piú sicure, soprattutto se non manca troppo.

Come Dio volle, arriviamo al rifugio, loro si avventurano nella bufera di neve ad esplorare il sito ma io col cavolo che mi schiodo dalla tavola!

Abbiamo mangiato bene? Chissà, io ho continuato a pensare al ritorno …

Chi è che grida!?!

Per quelli di noi, ragazzi degli anni ’60, che si sono imbattuti nella musica antica è stato subito un ritrovarsi in una dimensione già nota, un rivivere quello sforzo di non subire la musica nell’era della diffusione di massa dei mezzi di riproduzione musicale, radio TV giradischi registratori ecc, ma di farla, nella forma più semplice delle brigate di amici, uno o due a suonare la chitarra e gli altri a cantare, o in quella entusiasmante del proliferare di complessini beat ricalcati sui Beatles.

Nella musica antica, infatti, c’è tanto spazio per il dilettantismo ma soprattutto per la socializzazione dell’esperienza musicale, la musica d’insieme, perché la musica allora si faceva “in casa”, a tavola (Tafelmusick si chiamava), con gli esecutori e gli strumenti che c’erano a disposizione, arrangiandosi alla meglio, grazie anche ad una scrittura compositiva che privilegiava il risultato complessivo alla brillantezza del virtuosismo che, se c’era, meglio, ma si poteva farne a meno.

E così per noi, ragazzi degli anni ’60, anche la musica colta è stata una gioia da vivere con gli altri, in sede di esecuzione come in sede di ascolto (oggi le cose sono un po’ cambiate): ai concerti ci si salutava tutti come vecchi amici oppure si incontravano con gioia i vecchi amici, che avrebbero condiviso con noi una nuova esperienza gratificante (di solito) rinforzando il legame d’amicizia, così come suonare era un’esperienza collettiva esaltante (di solito). Però per chi, come me, di grossolano sentire ed agire, tende a farsi vincere dall’entusiasmo, c’è sempre stato un problema: la maggior parte della musica antica si suona in chiesa. Ahimé, purtroppo nelle chiese si annida un sottobosco multiforme di “operatori ecclesiastici”, sagrestani campanari perpetue e pie donne, con cui non ho mai quagliato (e viceversa).

Io ho il massimo rispetto per tutti, ma se sono in una chiesa per la musica per me inevitabilmente quello diventa un contenitore sonoro e basta. Ecco allora che ad un concerto, mentre si aspetta l’inizio, arriva l’amico Stefano, e lo saluto con entusiasmo, anche lui vivrà questa esperienza con me … “Un po’ di rispetto, siamo in chiesa!” oppure mentre ti organizzi per le prove “Non si posano gli strumenti sull’altare! Non si sposta la sedia del parroco! Non si strisciano le sedie sul marmo! Non si scende dal tappeto perché si rovina il marmo” ecc. ecc. Immaginate poi la mortificazione di essere sgridato da un amico che stava provando insieme a me, per aver salutato con allegria, certo eccessiva, l’arrivo del direttore: “Non si grida in chiesa!” – peraltro il direttore indossava una T-shirt con la scritta “Che Dio me la mandi buona / e senza mutande!” ma a lui nessuno ha detto niente – è un ragazzo di chiesa, lui.

Ecco perché, quando un personaggio tanto più importante di me, ma evidentemente animato dal mio stesso un po’ grossolano entusiasmo, si è visto sgridare per aver manifestato scompostamente la sua allegria, un moto di simpatia spontaneo mi è sgorgato dal cuore: ma insomma, si è lì tutti tra amici e compari, invece dei soliti otto un po’ supponenti addirittura in venti, a fare un po’ di sceneggiata per prendere per il culo il mondo … e ‘sta vecchia babbiona si risente e viene a fare l’offesa, neanche le avessi fatto “Popi popi le belle mucchine!”

I Vivallevi ei Mortallevi

Una domanda mi sono posto molto tempo fa e ancora non ha trovato risposta: chi sono, nella nostra società, il corrispettivo dei maestri della musica colta del Rinascimento e del Barocco?

Forse è un questionare assurdo, forse no, sarebbe bello se qualcuno mi inviasse la sua opinione; per ora mi limito a qualche pensiero (mio) e a qualche spunto pescato qua e là.

  1. Non credo che possano esserlo i musicisti accademici e paludati della musica colta né gli audaci sperimentatori, per un semplice motivo: che i maestri di allora avevano un pubblico, i nostri contemporanei no, si ascoltano tra loro o arrivano al massimo a un numero ridotto di ascoltatori in una società dove tutto tocca numeri impressionanti. E non credo neppure che si possa stabilire una correlazione con quelli tra loro che, attraverso la musica da film, riescono a raggiungere un pubblico più vasto, cosicché le altre loro composizioni più impegnative e “sentite” corrisponderebbero alle opere di sperimentazione musicale, che anche nei secoli passati sono state scritte e (magari) mai eseguite e forse non ci sono neppure pervenute. Quasi 30 anni fa, con una sicumera che ancora vorrei possedere, avevo buttato lì ad una cena con amici che gli attuali maestri della musica colta erano gente come Brian Eno … oggi ancora mi interrogo, seppur sempre più raramente.
  2. Lo spunto per ripropormi questa domanda me l’ha dato una mail pubblicata sull’ultimo numero di “Amadeus” (febbraio 2009, pagg. 6-7) del critico musicale Giordano Montecchi e dedicata al fenomeno Giovanni Allevi, anzi alla autentica guerra civile che si è scatenata intorno a questo musicista. Montecchi (che è chiaramente un Vivallevi) ritiene che si sia polemizzato troppo su Giovanni Allevi senza cercare di capire questo fenomeno mediatico, anche perché ne uscirebbe “… qualche realtà dura da accettare … tanto che l’interrogativo cruciale non riguarda più tanto il valore di Allevi musicista, bensì le cause di un così spropositato fuoco di artiglieria da parte degli ambienti accademici, dagli studenti di Conservatorio, ai luminari del concertismo …” Per arrivare a quel che più ha solleticato il mio interesse, Montecchi dice che “… la carta più audace di Allevi è stata [questa:] anziché accettare la naturale collocazione della propria musica nell’ambito dell’easy listening, Allevi ne ha rivendicato il carattere di nuova musica classica contemporanea, ripudiando il paradigma di una contemporaneità divenuta sinonimo di intellettualismo …” per concludere che “… quel nervo scoperto che Allevi ha toccato … svela il dramma profondo di un paese la cui in cultura musicale è anche e forse soprattutto frutto di un’arroganza accademica boriosa e autoreferenziale, incapace di interagire costruttivamente con la società civile …” il resto magari andate a leggerlo, Amadeus costa poco e a questo numero c’è allegato un bel CD.
  3. Tra le letture che mi hanno fornito elementi per le mie riflessioni sulla questione, una mi è rimasta particolarmente impressa, quella di “Piero Buscaroli svela l’imbroglio del Requiem” (ovviamente si parla del Requiem di Mozart) edito da Zecchini di Varese, laddove sottolinea la falsa immagine che noi ci siamo fabbricati dei grandi compositori del passato, che malgrado l’apprezzamento della loro musica restavano sempre alla stregua di servitori, con i servitori mangiavano, anzi non sempre il loro salario era superiore.
  4. Avviandomi alla conclusione, visto che la guerra civile intorno alla figura di Allevi infuria, voglio ricordare per par condicio la lettera apparsa su “Musica” – sempre il numero di febbraio 2009 – in cui il musicista Ciro Longobardi – feroce Mortallevi – a “… smentire chi crede che l’Allevi rappresenti il nuovo in musica …” segnala puntigliosamente un nutrito numero di ascolti da Youtube che dimostrerebbero che “… se l’originalità e il nuovo stanno da una parte l’Allevi sta agli antipodi …”. Anche Musica non costa caro, se siete interessati non perdete questo numero.
  5. Per finire, forse i miei ipotetici lettori si saranno chiesti da quale parte della barricata io stia: beh, sinceramente, sono più neutrale della Svizzera. Ho già il mio bel daffare con la “musica antica” in cui profondo tutto il mio fanatismo settario, e sono ben lieto di chiamarmi fuori, anche perché ho ancora vivo il ricordo di una guerra civile musicale in cui fui coinvolto ormai sono 40 anni fa: allora ero appassionato di jazz e il mio breviario era la rivista “Musica Jazz” diretta da Arrigo Polillo. Anche a causa delle incursioni rock di Miles Davis, ecco scoppiare tra i giovani lettori (e non, già ribelli di suo e feroci propugnatori del “La musica non si paga”, ricordo) e Arrigo Polillo la polemica pro e contro le contaminazioni rock della musica jazz. In qualche occasione ci furono anche contestazioni vivaci, con fischi e lancio di nonsocché, ed io che col cuore stavo con loro ma con le orecchie con i puristi … .

Tutto il mondo è paese – Svezia

(da “Uomini che odiano le donne” di Stieg Larsson, ed. Marsilio)

… “Un giornale di sinistra” “Dipende da cosa si intende per sinistra. (…) A quanto sembra di capire, l’etichetta di sinistrorso deriva soprattutto dal fatto che come giornalista economico si è specializzato in reportage di denuncia sulla corruzione e gli affari loschi del mondo imprenditoriale. E’ autore di ritratti devastanti di direttori e politici – che di sicuro se lo meritavano – (…) Attirare l’attenzione sui reati però non mi sembra si possa considerare un’espressione di appartenenza alla sinistra”.