Chi è che grida!?!

Per quelli di noi, ragazzi degli anni ’60, che si sono imbattuti nella musica antica è stato subito un ritrovarsi in una dimensione già nota, un rivivere quello sforzo di non subire la musica nell’era della diffusione di massa dei mezzi di riproduzione musicale, radio TV giradischi registratori ecc, ma di farla, nella forma più semplice delle brigate di amici, uno o due a suonare la chitarra e gli altri a cantare, o in quella entusiasmante del proliferare di complessini beat ricalcati sui Beatles.

Nella musica antica, infatti, c’è tanto spazio per il dilettantismo ma soprattutto per la socializzazione dell’esperienza musicale, la musica d’insieme, perché la musica allora si faceva “in casa”, a tavola (Tafelmusick si chiamava), con gli esecutori e gli strumenti che c’erano a disposizione, arrangiandosi alla meglio, grazie anche ad una scrittura compositiva che privilegiava il risultato complessivo alla brillantezza del virtuosismo che, se c’era, meglio, ma si poteva farne a meno.

E così per noi, ragazzi degli anni ’60, anche la musica colta è stata una gioia da vivere con gli altri, in sede di esecuzione come in sede di ascolto (oggi le cose sono un po’ cambiate): ai concerti ci si salutava tutti come vecchi amici oppure si incontravano con gioia i vecchi amici, che avrebbero condiviso con noi una nuova esperienza gratificante (di solito) rinforzando il legame d’amicizia, così come suonare era un’esperienza collettiva esaltante (di solito). Però per chi, come me, di grossolano sentire ed agire, tende a farsi vincere dall’entusiasmo, c’è sempre stato un problema: la maggior parte della musica antica si suona in chiesa. Ahimé, purtroppo nelle chiese si annida un sottobosco multiforme di “operatori ecclesiastici”, sagrestani campanari perpetue e pie donne, con cui non ho mai quagliato (e viceversa).

Io ho il massimo rispetto per tutti, ma se sono in una chiesa per la musica per me inevitabilmente quello diventa un contenitore sonoro e basta. Ecco allora che ad un concerto, mentre si aspetta l’inizio, arriva l’amico Stefano, e lo saluto con entusiasmo, anche lui vivrà questa esperienza con me … “Un po’ di rispetto, siamo in chiesa!” oppure mentre ti organizzi per le prove “Non si posano gli strumenti sull’altare! Non si sposta la sedia del parroco! Non si strisciano le sedie sul marmo! Non si scende dal tappeto perché si rovina il marmo” ecc. ecc. Immaginate poi la mortificazione di essere sgridato da un amico che stava provando insieme a me, per aver salutato con allegria, certo eccessiva, l’arrivo del direttore: “Non si grida in chiesa!” – peraltro il direttore indossava una T-shirt con la scritta “Che Dio me la mandi buona / e senza mutande!” ma a lui nessuno ha detto niente – è un ragazzo di chiesa, lui.

Ecco perché, quando un personaggio tanto più importante di me, ma evidentemente animato dal mio stesso un po’ grossolano entusiasmo, si è visto sgridare per aver manifestato scompostamente la sua allegria, un moto di simpatia spontaneo mi è sgorgato dal cuore: ma insomma, si è lì tutti tra amici e compari, invece dei soliti otto un po’ supponenti addirittura in venti, a fare un po’ di sceneggiata per prendere per il culo il mondo … e ‘sta vecchia babbiona si risente e viene a fare l’offesa, neanche le avessi fatto “Popi popi le belle mucchine!”

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