Eppure, di Enrico, avrei dovuto imparare a diffidare fin da Dublino. E allora, perché? Perché quando, raggiuntolo a Bardonecchia dove si trovava per le Celebrazioni della Settimana Bianca, mi ha proposto di andare a mangiare alle Grange di Valle Stretta: “… natura incontaminata … si arriva solo con gli sci o il gatto delle nevi … nessuna presenza umana tranne il ristoratore … tra rocce aspre e orridi … 8 chilometri e 700 metri di dislivello …” non gli ho prontamente risposto “NO! Si va a mangiare alla Pizzeria Vesuvio di Cicillo Esposito – anzi Escpoosito – detto O’ malamente” – livello di rischio massimo tollerabile?
Eppure la mia spedizione a Bardonecchia la avevo organizzata bene, con saggia prudenza e commisurazione accurata dei rischi: primo giorno esplorazione del paese, secondo giorno delle piste vestiti sí da sciatori, ma senza sci, solo al terzo (e ultimo giorno) avventurarsi sulla neve con i miei storici sci da fondo (niente di piú) da sciolinare con cura – di solito sbaglio sciolina e non riesco a muovermi, meglio, nessun rischio – malgrado ció il fato vegliava in attesa di un passo falso per farmi del male: alla prima discesina della pista “Baby 1” sforzo per frenare, mi si stacca la suola della scarpa con sci allegato e sbatto a terra orribilmente sfasciandomi una spalla!
Eccomi allora alle 18,30 di mercoledí a Pian del Colle, lo stesso posto dove c’è la pista di sci da fondo sulla quale mi sono fatto male (infausto presagio!) a guardare con orrore una motoslitta con cassone a rimorchio dove avrei dovuto salire: sí, perché non contento Enrico ha avuto una grande idea, non andare col troppo banale gatto delle nevi, ma con la motoslitta, le ragazze davanti e io e lui sdraiati nel rimorchio. Le ragazze suddette anziché aggrapparsi alle maniglie si avvinghiano l’una all’altra e la prima al guidatore (due volte trattorista, perché conduce il trattore e la trattoria, ahahahah) – mica scema la prima, lui è uno splendido esemplare di Homo Rudis Alpinus slanciato e solido senza un’oncia di grasso – noi messi di traverso con una copertina sulle gambe, uno guarda di qua e l’altro di là, non guardare avanti perché la moto solleva un po’ di neve …infatti dopo poco, malgrado le amorevoli cure di Francesca che mi ha messo in testa una fascia aggiuntiva, ho l’orecchia destra ricoperta da una lastra di ghiaccio e neve e metà faccia bloccata nel ghigno di un’orrida paresi. Intanto la motoslitta avanza nel deserto bianco, col rimorchio che oscilla ad ogni curva e si avvicina preoccupantemente al ciglio del baratro, io che mi puntello con piedi e ginocchia e mi aggrappo ovunque con mani chiappe e orecchie – come minimo ad un sobbalzo piú forte il braccio malandato mi si torcerà con un dolore tremendo!
Dopo un po’ dalla neve spunta un cartello stradale indicante il limite dei 30 – 30 che? 30 improbabili kilometri all’ora o 30 cadaveri all’ora? Avrete capito che, visto che va tutte bene e ci siamo lasciati un bel po’ di strada dietro, mi sto rilassando, sbircio le montagne, veramente aspre, e la valle, veramente stretta, del resto chissà quante volte al giorno va su e giú, sa cosa fare … la moto si ferma nel nulla; il conduttore ci comunica infatti che il vento ha innevato il sentiero, non sa se ce la fa a passare con il rimorchio, meglio se proseguiamo a piedi fino alla ripresa del sentiero e forse ci rivediamo là – tutto allegro avanzo nella neve in cui si sprofonda fino al ginocchio, ma le mie gambine sono piú sicure, soprattutto se non manca troppo.
Come Dio volle, arriviamo al rifugio, loro si avventurano nella bufera di neve ad esplorare il sito ma io col cavolo che mi schiodo dalla tavola!
Abbiamo mangiato bene? Chissà, io ho continuato a pensare al ritorno …